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Fino alla liberazione dalla guerra. Pensieri, azioni, speranze di pace”. Ed. Mille, Torino

Un grande grazie agli amici intelligenti e generosi che trovano utile la raccolta che ho fatto in questo libro, da varie fonti, di valori per la vita di pace, contro il delitto di guerra.

Con piacere ho rievocato Josef Schiffer, più uomo che soldato. La sua, tra altre, è la forma di pace più coraggiosa: la pace dell’obiettore dentro la guerra, contro la guerra. Un popolo maturo, democratico-planetario, obietta alla guerra.

Ė importante l’impegno comune a sfatare il falso dogma: “la guerra c’è sempre stata e sempre ci sarà”. Questo è un idolo che si accanisce a divorarci. Ė importante porre l’obiettivo pace perché ci sia il cammino verso la pace. L’utopia non è sterile: è il “buon luogo” (eu-topia) che muove e motiva l’impegno nel cammino.

Il pensare e il volere precede il fare. Immaginare e amare il progetto precede e sostanzia l’azione. Il fare è cieco senza degno sogno. Il pensiero serio è operativo. Dicono “dal dire al fare…”, e io aggiungo: “ma senza il dire non puoi neanche partire”.

La volontà di pace, il lavoro contro la guerra, impegna a costruire alternative alla violenza: questo si fa imparando la storia occultata delle lotte giuste nonviolente; valorizzando il coraggioso volontariato costruttivo di pace, che c’è; esigendo dalla politica che sia politica, cioè vita insieme tra differenti che si intendono con le parole della ragione e della vita, non soggetti alla legge della morte armata. La morte umana è compimento e – possiamo anche pensare – oltrepassamento. La morte armata offende in noi ogni maggiore possibilità dell’umanesimo.

La violenza c’è, ma opera della sapienza umana è imparare a respingerla con la resistenza nonviolenta, senza imitarla e riprodurla. Non è facile, non è senza costi umani, ma è storia reale di lotte nonviolente, che sono lotte statisticamente più efficaci delle lotte violente (50% di risultati contro il 26%, cfr almeno p. 42 di Erica Chenoweth, Come risolvere i conflitti) .

L’umanità può evolversi, non solo biologicamente, ma soprattutto moralmente e intelligentemente, verso rapporti costruttivi, mai distruttivi. Maestri ed esperienze insegnano quanto basta per impegnarci.

La vita umana non si realizza, ma fallisce quando cade nella rivalità eliminatoria, e invece procede nelle relazioni di sostegno, dialogo, comunicazione, riconoscimento, amicizia: questa è la civiltà e la politica planetaria, ormai condizione di sopravvivenza ed evoluzione della nostra specie nell’ambiente naturale.

L’umanità è una e plurale: il suo valore è già tutto nella singola persona, e nel singolo popolo, e si realizza ulteriormente nella comunicazione e nell’attiva convivenza universale. La nostra epoca ha questa possibilità bella che non avevano i popoli separati da distanze e reciproche ignoranze o disprezzo. Come la singola persona è arricchita e non assorbita dalla comunicazione positiva con le altre persone, così i popoli e le civiltà possono comporre una umanità più ricca. Se eliminiamo la guerra.

La forma di Stato che conosciamo è dalle origini sposata alla guerra, come diritto sovrano di uccidere, giustificato come triste superba necessità. Il “ripudio” proclamato nell’art. 11 della nostra civilissima Costituzione, nata dal dolore e vergogna della guerra, ci sostiene e ci impegna alla liberazione dalla guerra.

La cultura, l’informazione, l’educazione, la scuola, l’arte, ogni forma di creatività umana, ormai hanno il compito primario di liberare l’umanità dalla guerra. Eppure ci sono forze economiche disumane che perfezionano la mortalità bellica, il potere e la ricchezza che fanno profitto sull’uccidere e sul far soffrire gli esseri umani, per dominarli. Il nostro compito è grande, arduo, difficile, ma necessario e bello. Siamo umani, lo saremo insieme di più.

Enrico Peyretti

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