Enrico Peyretti, Non ho scoperto nuove terre
€ 11,00 IVA inclusa
Descrizione
La saggezza indispensabile per giungere alla pace vera e duratura
Alla fine di questo libro l’Autore scrive: “se ti regalo – o ti propongo – un libro, non vorrei obbligarti ma certo ti suggerisco un discorso che mi pare importante, interessante. È come se io ti parlassi, nella nostra conversazione”. E aspettandosi di essere ascoltato, non perché ci sia una legge che l’impone ma per “quell’obbligo dolce dell’amicizia”, entro il quale avviene lo scambio, invita il lettore a non fermarsi alla superficie, a entrare nella parola, ascoltarne gli echi. Questo invito è tanto più persuasivo se il libro non solo Enrico Peyretti ce lo regala, ma è lui che lo ha scritto, con l’idea che queste parole non muoiano sulla carta, ma rinascano nel lettore.
dalla prefazione di Raniero La Valle
Il pensiero di Enrico Peyretti espresso negli anni nel quindicinale Rocca
“Il nostro pianeta è unificato nella sorte unica dell’ambiente pericolante, ma non ancora nelle menti e nelle pratiche politiche. Chiamiamo ancora stranieri gli abitanti del nostro unico mondo più vario e più mobile, che sono costretti, o scelgono, di spostarsi. I confini non esistono per i bisogni umani, né per la natura. La politica, se non ha chiari i criteri e i compiti universali – la pace come principio, il disarmo, la cura della terra – è sbagliata e dannosa. Respingere profughi, cittadini del mondo, adducendo l’art. 52 Cost. a difesa dei confini nazionali, è tragicamente comico.”
“Facciamo sempre guerra, privata o pubblica, statale o terroristica, per vincere gli uni sugli altri, e domarli. Eppure, l’umanità non è condannata a questo male per male, prepotenza per prepotenza, né a rivoltolarsi nella sua miseria illusa. Alcune sapienze umane hanno visto che l’uscita dalla lotta cieca che ci fa soffrire è riconoscerci reciprocamente come erranti, deboli, ma pure col desiderio insopprimibile di bene, nell’intuizione profonda che pace, giustizia, compassione e benevolenza sono il nostro vero essere, e vivere non è altro che cercare di raggiungerli nel tempo grande, che ci avvolge. Gesù è uno di questi sapienti, per noi il più grande.”
“La voglia di perfezione è superbia. È il peccato del voler essere come Dio, essere Dio. Meglio l’ateo del concorrente con Dio, dello scalatore di Dio. Il peccato è voler fare da sé, è la superbia del non avere bisogno. L’asceta che si macera in rinunce, cilici, autopunizioni, purezze glaciali, forse è peggiore del libertino grato alla vita e buono, giusto. Chi cerca di non aver bisogno di perdono è il più abbandonato degli esseri umani. Non ha radici nella vita, è ramo secco. Il perdono è nella relazione, nel chiedere di essere insieme, insieme al prossimo, perciò insieme a Dio”
L’esperienza e la riflessione di un costruttore di pace espressa mediante un’inedita chiave di lettura.
Sommario
Parte 1 – Significanti
Libertà e incontro – Conflitti e nonviolenza – Utopia e Speranza
Parte 2 – Confronti
Un’Europa per l’umanità – La festa della sorpresa – Una sera si parlava – Diminuire consentendo – Distacco appassionato – Non c’è più religione – Libertà senza offesa – Morte di un amico – Se la politica è amore – Solo il disarmo è razionale – La pace armata è guerra – Ambiente e pace, un problema solo – Elogio del punto interrogativo – Dio dopo Dio
Il libro arricchisce la collana “nuoviSaggi” di un “fondamentale” del pacifismo italiano e internazionale
Visita il sito www.serenoregis.org
Informazioni aggiuntive
Peso | 184 g |
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Dimensioni | 1 × 14.8 × 21 cm |
Antonio Rocco LABANCA –
Recensione di Giannino Piana, per il mensile Rocca 1 giugno 2022
«Ciò che è in gioco in queste pagine – osserva Raniero La Valle nell’Introduzione a questo volumetto – è il segreto della vita, il suo mistero, il suo significato» (pag. 7). Una riflessione sapienziale, dunque, quella di Enrico Peyretti, che raccoglie in due diverse parti una selezione di testi pubblicati negli anni 2017-2021 nella rubrica «Fatti e segni» su Rocca.
Partendo dalla considerazione della libertà come una istanza relazionale e sociale, Peyretti mette a fuoco nella prima parte – Significati – le ragioni dell’attuale situazione conflittuale.
Da un lato, egli denuncia l’affermarsi, in termini sempre più accentuati, di un sistema – quello capitalistico – che perseguendo anzitutto il profitto, finisce per accrescere le diseguaglianze; dall’altro, dà rilevanza allo stato di disagio serpeggiante, che suscita scontento e paura, sentimenti che vengono cinicamente sfruttati per rifiutare i migranti e dare legittimità a un’ideologia della difesa privata armata. A questo stato di cose, purtroppo assai diffuso, Peyretti reagisce opponendo l’adozione di un atteggiamento di accoglienza e di dialogo tra le culture e di convivenza dei popoli e auspicando l’abbattimento dei confini «sacri» e il rispetto dell’alterità. In questo contesto egli respinge la legittimità della guerra, compresa quella di difesa, definendola come «il perfetto contrario del diritto e della ragione umana» e proponendo in alternativa la difesa popolare non violenta, la resistenza civile, il disarmo e l’obiezione di coscienza, nonché rifiutando una concezione negativa dell’utopia come fuga dalla realtà o abbandono della responsabilità per il mondo e definendola come impegno volto a promuovere il mondo e ad amarlo.
La seconda parte – Confronti – ha un carattere più variegato ed esistenziale. Si va dall’auspicare un’Europa che ricuperi la coscienza
delle sue fonti umanistiche e spirituali alla messa a fuoco della stretta interdipendenza di pace, giustizia sociale e ambiente. Ma lo spazio più rilevante è assegnato a due questioni di grande importanza: il processo di invecchiamento e l’immagine di Dio.
Sul primo versante – quello dell’invecchiamento – Peyretti commenta una suggestiva espressione di don Michele Do: «Diminuire consentendo. Consentire con animo sereno. Distacco appassionato» (p. 71); un modo di reagire in cui il consenso alla diminuzione delle forze e delle possibilità non deve indurre a una rassegnazione passiva, ma va vissuto con vera passione, avvertendo il carico del
patire e insieme la serenità del compimento.
A suggellare l’intera riflessione del libro – è questo il secondo versante – è la questione di Dio, la cui identità priva di immagine non va strumentalizzata: «Dio – scrive Peyretti – non ha immagine. Non ha neppure nome. Dio è Spirito di vita vera. Invocarlo nel pericolo non sia usarlo come paracadute, ma sia chiedere ed accogliere il suo Spirito: forza di fede, di coraggio, di soccorso, di inventiva, di solidarietà e di giustizia» (p. 75).
Un saggio che più che dare risposte solleva interrogativi e dove tuttavia il dubbio non induce allo scetticismo ma spinge alla ricerca
del nuovo e dell’inedito, di ciò che apre orizzonti di speranza.
Antonio Rocco LABANCA –
Recensione di Antonello Ronca, per il Centro Studi Domenico Sereno Regis 1 aprile 2022
L’ultimo libretto di Enrico Peyretti rientra all’interno di quel filone della produzione dell’autore che potremmo definire sapienziale, cioè di riflessione su temi di varia umanità, a differenza del filone militante, più esplicitamente dedicato ai temi della pace e della nonviolenza, o della chiesa e della società. Un filone «minore», ma fino a un certo punto, come sanno i lettori di «Rocca», rivista sulla quale Peyretti, a cadenza mensile da decenni, tiene la rubrica intitolata «Fatti e segni», di cui sono qui raccolti alcuni pezzi pubblicati dal 2017 al 2021.
Il metodo lo racconta lui stesso: «Quando hai concepito un’idea devi partorirla. Sia giorno o notte, seduto o in strada, devi interrompere quello che stai facendo, devi parlarne, o scriverla, anche in scarabocchi sul taccuino, osu un fogliaccio, perché l’idea non voli via, forse senza ritorno». È probabile che siano nati sul taccuino i pezzi di varia lunghezza, da meno di una riga («A pensar male si fa male. E basta», p. 38), in forma aforistica, talora anche molto riuscita, a pezzi di maggior respiro (di un paio di pagine, corrispondenti alla paginata della rivista), raccolti nella seconda parte del libro.
Si favoleggia che fin da giovane Peyretti giri con un taccuino in tasca, che raccoglie ormai in diverse scatole. Come dire che la scrittura è fatica, rigore, artigianato, quotidianità. Qualche (rara) volta i pezzi si ispirano a un fatto («Nel suo passeggino, un bimbo cinese, di pochi mesi. Gli sorrido e gli faccio ciao. Mi risponde con un bel sorriso. L’umanità è una sola», p. 30), più spesso sono riflessioni senza tempo, pur ancorate alla quotidianità delle relazioni. Il tono è didascalico: «Avere imparato (ricevuto) obbliga a insegnare (rendere ad altri)».
Ma chi sono i maestri di Peyretti? In mancanza di indice analitico, abbiamo raccolto alcuni nomi sfogliando il libro: Bobbio, ovviamente, di cui l’autore ha pubblicato parte della corrispondenza con lui, Gandhi, Capitini, Pontara, Mancini, cioè i grandi maestri della nonviolenza, Tolstoj e Pier Cesare Bori (l’amico filosofo quacchero), e poi papa Francesco (parecchio citato), don Mazzolari, padre Calati, don Michele Do, e ancora l’amato Kant della Pace perpetua (a cui è dedicato un lungo pezzo in due puntate), i francesi Mounier e Maritain, e Nanni Salio.
Ma c’è un maestro che li precede: la vita. Ancora una volta, en passant, Peyretti ricorda l’episodio fondante dell’intera sua riflessione sulla nonviolenza (in altri luoghi ne ha parlato più estesamente): «A nove anni, ultimi giorni di guerra, non mi impedirono di vedere dalla finestra tre uomini passar vivi e tornar morti su un carro trainato da un asino, ingiustamente fucilati. Ho imparato per sempre».
Tra i temi è possibile far emergere come filo rosso, come ha fatto Pietro Polito nella presentazione del libro avvenuta al Centro Studi Sereno Regis il 24 marzo u.s., quello della fede come interrogazione. Una fede difficile da definire, certo non intesa in senso confessionale. Ma se la fede è ricerca, cammino, dubbio ecc., come può essere anche una persuasione? E come può arrivare a affermazioni che non lasciano dubbi quali: «Solo il disarmo è razionale» oppure «La pace armata è guerra» (titoli di due pezzi del libro)? Anche la nonviolenza può trasformarsi in dogma? Interrogativi emersi nella discussione, che restano aperti, ma fanno pensare.
Oltre alla fede e alla nonviolenza, di quali altri temi parla questo libretto? Ne propongo tre, solo apparentemente meno «elevati».
La gentilezza («Vale più una gentilezza che cento devozioni. Difficilmente salverò un bambino che sta per affogare. Più facilmente posso cercare di consolare una persona triste», p. 24);
l’alba («Amo molto l’alba … Amo soprattutto quel suo primo chiarore … Ecco: quell’ora breve e sospesa, quella luce di bellezza e non di forza, un manto leggero sopra tutte le cose, non è forse come la speranza?», p. 48);
e infine la vecchiaia in corrispondenza col tema dei bambini: un nonno chiede ai nipotini che cosa imparino dai nonni e i nonni dai nipotini, una risponde: «I nipotini imparano dai nonni il passato e i nonni imparano dai nipotini il presente», l’altro invece risponde: «I bambini imparano a diventare grandi e i nonni a diventare bambini» (p. 27). Ecco allora il bilancio del vecchio che prova a diventare bambino: «Non ho scoperto nuove terre, ma ho raccolto buoni frutti dai campi attraversati e tutto ho cercato di rendere ai passanti sulla mia vita» (p. 21).