Antonio Pinna, La pineta e il porto
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Si tratta di un percorso poetico e narrativo attraverso i miei dieci anni di vita da pensionato attivo. L’iniziale stato depressivo ed il percorso per uscirne: le camminate in pineta, l’università, lo studio e la ricerca sulla malattia che mi ha portato via mia sorella, la solidarietà con i malati, i viaggi e soprattutto la scoperta di Torino sono state le leve per una nuova serenità. In questo viaggio ho riconosciuto l’importanza fondamentale dell’esplorazione della propria vocazione.
La mia è una testimonianza personale che esula da un esame clinico e psicoterapeutico dell’argomento, pur facendo riferimento a un’opera psicoanalitica (Il codice dell’anima di James Hillman). Sentimenti, riflessioni, percezioni sviluppate soprattutto nelle mie camminate quotidiane nella pineta di Torre Grande (Oristano), diventata il mio buon ritiro, ispiratore del mio viaggio. Di qui il titolo La pineta, ora insidiata da un progetto di un campo da golf. Poi una nuova tappa, diventata ormai “il mio porto oltre il mare” come dico di Torino, città che per prima ha accolto molto positivamente la mia opera sulla SLA. Ripercorro il mio cammino, il mio occhio ed il mio cuore puntati sul capoluogo piemontese con riferimenti a persone, fatti e luoghi. Torino mi somiglia perché della città che ho conosciuto condivido gli stessi valori.
Indice
L’Autore
Presentazione di Maria Lucia Mocci
Introduzione di Mariangela Costantino
Prefazione di Gabriele Richetti
La pineta
Note alle poesie
Il porto
Note sui personaggi citati
Bibliografia
Descrizione
La pineta. E poi Torino
dalla prefazione di Gabriele Richetti, blogger
https://ilvasoditerracotta.com/
Fredda e plumbea. Questi gli aggettivi, riferiti alla città di Torino, con cui si apre il lavoro di Antonio Pinna. Un giudizio tranchant, che sembra non voler ammettere repliche.
Tuttavia, sarebbe imperdonabile arrendersi senza almeno un tentativo. Torino non può essere soltanto inquinamento, provincialità, depressione. Torino deve essere capita. “Merita” di esserlo.
Dall’Augusta dei Taurini alla città dei Savoia
Per raggiungere l’obiettivo, ci affideremo pertanto a una manciata di riferimenti storico-letterari, sparpagliati sulla pagina, per riabilitare l’antica Augusta dei Taurini. Immaginando di essere seduti in uno dei bar storici del centro, con in mano un fumante bicerin, e una storia da raccontare.
Un luogo capace di affascinare da secoli gran parte dei suoi visitatori meritava una seconda possibilità.
Città pacata, discreta, che permette di vivere. Di vivere bene, soprattutto. Torino non è pettegola, Torino ti accoglie un po’ burbera, brontolona, ma con il sorriso sornione nascosto sotto i baffi imbevuti di caffè, come il nonno che aspetta di premiare il nipotino dopo un finto rimprovero. Basta avere pazienza.
Ti stupisce in autunno con le colline in fiamme e le merende sinoire nei lunghi pomeriggi invernali, per poi premiarti in primavera con un aperitivo in riva al Po, fino alle calde giornate estive al Valentino.
C’è la Torino architettonica, con il neoclassico a braccetto del barocco; c’è la città gourmet, con le sue pasticcerie e le sue prelibatezze che sanno di carne, vino e cioccolato. Di grissini e marron glacé.
E c’è la Torino da raccontare, grazie ai versi di chi le ha dato fiducia e ne è stato ripagato.
Scrittori di Torino e su Torino
Senza scomodare Giosuè Carducci e la sua regal Torino incoronata di Vittoria, la redenzione della città passa attraverso le parole di un grande come Umberto Eco: “Senza l’Italia, Torino sarebbe più o meno la stessa cosa. Ma senza Torino, l’Italia sarebbe molto diversa”.
Una bellezza non soltanto interiore e letteraria, ma anche e soprattutto estetica. Con la sua pianta regolare, i suoi larghi viali alberati, le sue eleganti piazze e i giardini, costellati di profumate caffetterie, il capoluogo piemontese ha da sempre rappresentato una sorta di modello per molti pensatori stranieri, abituati alle caotiche e poco igieniche città della vecchia Europa. I giovani intellettuali dell’alta borghesia europea includevano Torino tra le tappe del Grand Tour, rimanendone ogni volta affascinati.
Per Charles de Brosses, Torino era “la città più graziosa d’Italia e […] d’Europa per l’allineamento delle strade, la regolarità delle costruzioni e la bellezza delle piazze”.
Carlo Goldoni la definì deliziosa e per Gogol’ la città non era “seconda a nessun’altra città per magnificenza”.
Anche lo scrittore Mark Twain rimase affascinato dalla città durante il suo soggiorno, tanto da dire: “Torino è una città bellissima. Come spaziosità supera, io penso, tutto ciò che è stato immaginato prima”. Con lui Henry James, un altro statunitense: “Entrare a Torino un bel pomeriggio d’agosto vuol dire trovare una città di portici, di stucco rosa e giallo, di innumerevoli caffè, […] i campanili in cotto, la luce morbida e gialla, la gamma di colori, la suggestione dei suoni”.
Altro, e non ultimo, grande estimatore di Torino fu Friedrich Nietzsche, che vi soggiornò in due occasioni. Il suo appartamento, in via Carlo Alberto n. 6, permise al filosofo di godere appieno della bellezza e della sabauda tranquillità del centro. Tra una cioccolata calda e una bignola, Nietzsche visse non da turista, ma come un vero Torinese. Il suo animo inquieto ben si conciliava con la discrezione della città, che gli consentì un soggiorno sereno e senza preoccupazioni.
Una libro da aprire
Concludendo, Torino è una città che credo debba essere letta come se si trattasse di un libro. Forse proprio perché sono stati in molti ad averle regalato dell’inchiostro. Deve essere letta da chi la ama già, così come da chi la ama soltanto sotto certi aspetti. Ovviamente deve essere letta da chi non la ama affatto. D’altra parte, i luoghi dell’anima sono infiniti e spesso difficili da trovare. Certamente esistono, da qualche parte, nascosti in una vetrina di gianduiotti, sotto una panchina del Valentino o dietro i tramonti infuocati sul Monviso. Per dirla ancora una volta con Nietzsche, “Torino non è un luogo che si abbandona”.
E Torino non “ci” abbandona. Perché è una città che può essere, allo stesso tempo, punto di arrivo e punto di partenza. Ormeggio sicuro durante le tormentate burrasche dell’animo umano e porto da cui (ri)partire una volta tornato il bel tempo. Ed è proprio questa la percezione di Torino a cui arriva anche Antonio Pinna al termine del suo girovagare catartico, in una fruttuosa e positiva conclusione /conversione.
In fondo, come scriveva Guido Gozzano:
“Ch’io perseguendo mie chimere vane
pur t’abbandoni e cerchi altro soggiorno,
ch’io pellegrini verso il Mezzogiorno
a belle terre tiepide e lontane,
la metà di me stesso in te rimane
e mi ritrovo ad ogni mio ritorno”.
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